L’agroalimentare italiano è sempre più biologico: quello marchigiano? Anche di più
Un autentico boom: i dati
L’agroalimentare italiano è sempre più biologico e ancora di più lo è quello marchigiano. È quanto rilevato da Nomisma, che questa mattina ha presentato un focus sullo sviluppo dell’agricoltura biologica nell’ambito di un convegno sulla filiera bio delle Marche, a cura dell’Istituto marchigiano di enogastronomia (Ime).
Il quadro che emerge (sulla base dei dati Sinab, il Sistema d’informazione nazionale sull’agricoltura biologica) è di una regione in prima fila nella corsa al bio, con un aumento delle superfici del 24,4% rispetto all’anno precedente (+20% il dato nazionale) e un’incidenza sui terreni coltivati ben al di sopra della media, con il 17,5%, contro il 14,5% italiano.
Un autentico boom quello del Belpaese, che si conferma secondo esportatore mondiale e che trova nella regione del Centro Italia un alleato importante, con piccole e grandi realtà dell’agroalimentare in grado di competere nei principali mercati mondiali. Le Marche – secondo i dati 2016 – sono la terza regione per densità di aziende biologiche (5,9%) sul totale delle imprese agricole, dietro solo a Calabria e Toscana e sono al 7° posto nel rapporto tra Sau (superficie agricola utilizzata) e pratica bio.
“Negli ultimi 5 anni – ha detto Alberto Mazzoni, direttore dell’Istituto marchigiano di enogastronomia che aggrega sotto un unico marchio buona parte dell’agroalimentare regionale – abbiamo registrato un’evoluzione importante di diverse nostre colture: il cerealicolo bio è cresciuto ad esempio del 93%, gli ortaggi del 247%, le colture industriali del 57% e la vite – che è al quarto posto nel ranking del Paese – del 47%. Poi c’è l’avicolo, che a livello nazionale è cresciuto del 65%. Si tratta di un passaggio importante anche in chiave di marketing in una regione che riscuote sempre più apprezzamenti in termini di qualità percepita; e non è un caso se, proprio grazie al biologico e sulla scorta dell’esperienza vitivinicola, le grandi aziende della pasta, delle carni, del vino e dei cereali abbiano deciso per la prima volta di fare squadra attraverso il neonato Istituto di enogastronomia”.
Per il direttore di Nomisma agroalimentare, Denis Pantini: “L’agroalimentare marchigiano può giocare un ruolo di primo piano nell’offerta di prodotti biologici, facendo anche leva sulle peculiarità ambientali e paesaggistiche nonché sulla buona reputazione di cui gode il territorio. Un’arma in più – quella della produzione bio – in grado di intercettare le attuali opportunità di mercato e di permettere a un tessuto produttivo fatto in prevalenza di piccole aziende di garantirsi una sostenibilità economica di lungo periodo”.
“Più che mai la partita del biologico si gioca sul terreno della conoscenza – ha detto Elena Viganò, professore associato all’Università degli studi di Urbino Carlo Bo – e sarà fondamentale sostenere attività di ricerca e di didattica che siano coerenti con la visione sistemica del modello agro-ecologico. Da qui la scelta di organizzare il corso di formazione permanente sull’agricoltura biologica dell’Università di Urbino, la cui seconda edizione ripartirà dal prossimo mese di ottobre, basato su un approccio multidisciplinare e un mix di conoscenze scientifiche ed esperienziali”.
A tracciare gli scenari e le prospettive per l’agroalimentare green nelle Marche, oggi al convegno Ime del Sana sono intervenuti anche i principali attori del comparto biologico regionale, tra cui Roberta Fileni, responsabile marketing e comunicazione dell’omonimo Gruppo, leader italiano ed europeo nella produzione di carni avicole bio; Francesco Torriani, presidente del Consorzio Marche Biologiche, che rappresenta complessivamente circa 300 produttori; Giorgio Savini, presidente del Consorzio Vini Piceni, che conta sulla produzione biologica di due terzi dei suoi soci.
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