“Le province sono in un ‘limbo istituzionale’, intervenga il legislatore”
Mangialardi, presidente Anci Marche: "quale futuro dopo la bocciatura della riforma?"
Va preso atto che il 5 dicembre gli italiani hanno affermato la loro volontà di non cambiare la Costituzione. E siccome credo che in democrazia la sovranità popolare non può essere in alcun modo messa in discussione, inevitabilmente il risultato deve essere accettato. Ovviamente va accettato in toto, tenendo conto non solo delle implicazioni politiche, ma anche di quelle amministrative e istituzionali, delle quali, inevitabilmente, andrà tenuto conto.
Il riferimento è alla abolizione delle Province, tema che per decenni è stato al centro del dibattito politico senza che si arrivasse mai davvero a una decisione definitiva. Almeno fino al governo di Mario Monti, che subito dopo il suo insediamento, cedendo forse alla montante onda dell’antipolitica, anziché varare una riforma del titolo V che ne prevedesse l’abolizione, pensò bene di liquidare la questione ricorrendo a un decreto legge, ignorando sorprendentemente l’obbligo di seguire le disposizioni della Costituzione in tema di modifica dell’ordinamento istituzionale.
Una decisione non solo oggettivamente sbagliata nel metodo, che infatti, in seguito, fu correttamente bocciata dalla Corte costituzionale, ma anche dannosa, perché trasformando le Province in enti di secondo livello produsse l’unico esito di lasciarne inalterate sia le strutture amministrative, e quindi i costi, sia gran parte delle funzioni, ma tagliando le risorse per svolgerle, impedendo loro de facto di erogare i precedenti servizi.
Ma proprio perché l’errore era di metodo, e non di merito, vista la necessità del nostro Paese di snellire e rendere più efficiente la macchina burocratica, ridurre costi e sprechi inauditi, e ottenere alcuni significativi risparmi, quella discussione fu ripresa dal governo, il quale, in attesa di inserirla in un percorso di modifica costituzionale, avviò il progressivo svuotamento delle sue funzioni con il noto decreto Delrio.
Il resto è storia di oggi: respinta la riforma, le Province rimangono ancora una volta lì, al loro posto, in una sorta di limbo istituzionale. Semplicemente ci sono e non possono essere cancellate. Basti pensare che entro il prossimo 8 gennaio, i consigli comunali saranno chiamati a eleggere i propri membri nei consigli provinciali di competenza.
In questo quadro sarebbe assurdo far finta di nulla ed è ragionevolmente impossibile pensare che nel nostro ordinamento possa continuare a esistere un livello di governo “fantasma”, che però continua a pesare sui conti dello Stato e ad avere in capo competenze fondamentali su edilizia scolastica, viabilità extraurbana e gestione del rischio idrogeologico.
Mi sembra più che mai urgente, dunque, che il legislatore torni quanto prima sul tema della Province, riassegnando le funzioni sottratte in precedenza e le relative risorse, andare alla rapida cancellazione di quelle strutture di area vasta come assemblee e consorzi territoriali, e, stante anche lo scarso amore rivelato dagli italiani per gli enti di secondo livello, ristabilire la possibilità di eleggere i suoi organi a suffragio universale. Allo stato attuale, se davvero vogliamo che la macchina amministrativa funzioni, si tratta di una sfida ineludibile.
di Maurizio Mangialardi,
presidente Anci Marche
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