Proposta di legge sulla fusione obbligatoria tra comuni sotto i 5mila abitanti
Chi non si adeguerà con iniziative proprie, sarà obbligato dalle regioni e perderà gli incentivi previsti
Ridurre la frammentarietà dei comuni italiani. E’ l’obiettivo per cui è stata avanzata dal deputato marchigiano Emanuele Lodolini, componente della commissione Finanze di Montecitorio, una proposta di legge che prevede la fusione obbligatoria per i comuni con una popolazione inferiore a 5mila abitanti.
“E’ noto infatti che le ridotte dimensioni della maggior parte dei comuni sono spesso del tutto insufficienti a garantire uno svolgimento efficace dell’azione amministrativa“.
Secondo dati Istat del 2014, circa il 70 per cento dei comuni ha meno di 5mila abitanti e la percentuale dei residenti in piccoli comuni è pari al 17% dell’intera popolazione.
“La proposta di legge che ho presentato su questo tema – prosegue Lodolini – individua nelle fusioni lo strumento più idoneo proprio per superare l’attuale elevata frammentarietà dei comuni“.
A differenza delle altre forme di associazionismo tra comuni, con la fusione si crea un nuovo e unico ente nel quale vengono aggregate tutte le risorse umane, strumentali e finanziarie al fine di ottenere l’ottimizzazione dei servizi esistenti e il loro ampliamento.
“La proposta di legge di cui sono primo firmatario stabilisce innanzitutto la soglia di 5mila abitanti come limite minimo perché possa esistere un comune“. Trascorsi poi 24 mesi dall’entrata in vigore della presente legge, le regioni provvederanno alla fusione obbligatoria di tutti i comuni che non abbiano già avviato procedimenti di fusione di propria iniziativa. “In questo caso però i comuni perderanno gli incentivi previsti per le fusioni dal basso, ritenute più efficaci in quanto basate su criteri più omogenei“.
Qualora trascorsi 4 anni dalla entrata in vigore della legge i comuni non abbiano provveduto di propria iniziativa a realizzare le fusioni e le Regioni abbiano omesso di adottare le necessarie leggi regionali per renderle operative, “è prevista una decurtazione del 50 per cento dei trasferimenti erariali a favore delle regioni stesse, diversi da quelli destinati al finanziamento del Servizio sanitario nazionale e al trasporto pubblico locale“.
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