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Marche: la Regione è contraria alle trivellazioni nel mare Adriatico

Le concessioni per la "coltivazione" di gas si riferiscono a decine di anni fa: il parere delle Regioni non è vincolante

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Il palazzo della Regione Marche

La Regione Marche è contraria alle trivellazioni nel Mare Adriatico. Posizione chiara espressa già in diverse sedi e più volte anche in campagna elettorale dal presidente Luca Ceriscioli. E, recentemente, nella riunione con 6 presidenti delle Regioni, tenutasi a Termoli nel luglio scorso, dove si è confermato il no netto ad opere di trivellazione nei mari Adriatico e Ionio, ribadendo in ogni caso l’intenzione comune di avviare un dialogo con il Governo.

La posizione di confronto, per le Regioni, rimane prioritaria, anche se le stesse si sono dette pronte a valutare la praticabilità, quale estrema ratio, di tutti gli strumenti previsti dall’ordinamento. I presidenti si sono aggiornati al prossimo 18 settembre a Bari, in occasione della Fiera del Levante proprio in merito alle strategie da adottare.

Tuttavia le trivellazioni al largo della costa marchigiana per la coltivazione di gas naturale sono effettuate da decenni e le piattaforme produttive in Mare Adriatico sono svariate decine, autorizzate da governi precedenti. L’arrivo di due ulteriori piattaforme per l’estrazione di gas metano, il gas cioè che noi tutti utilizziamo per il riscaldamento domestico o per alimentare le autovetture e per l’industria, oltre ad essere fatto noto da molto tempo, non comporta rischi maggiori di quelli che sono stati monitorati per precedenti operazioni analoghe, specie in considerazione dello sviluppo di tecnologie sempre più sicure. Le piattaforme saranno posizionate una a 45 km (Clara NW) e l’altra a 60 Km (Bonaccia NW) dalla costa e le operazioni non interferiranno con le zone marine tutelate. Lo scenario del rischio è calcolato in base ad un protocollo di sicurezza che tiene conto di elevati e rigorosissimi standard e le piattaforme non potrebbero operare se l’Ente concessionario non avesse già assunto obbligatoriamente tutte le responsabilità e dato garanzie (anche economiche) in caso di incidenti.

Si tratta di concessioni a capitale prevalente ENI (Ente Nazionale Idrocarburi) e non a compagnie petrolifere private – come viene erroneamente riportato su alcuni articoli di stampa – per la coltivazione di metano e non di petrolio e sono attive addirittura dal 1980 (Clara) e dal 1988 (Bonaccia). Pertanto, le relative procedure per l’emissione della Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) non hanno nulla a che vedere col decreto Sblocca Italia, dal momento che si stratta di concessioni statali risalenti a trent’anni fa. In questo caso non c’è proprio nulla da “sbloccare”, perché si tratta di procedimento già di competenza statale su cui le Regioni, dal 2010, sono chiamate a dare un parere consultivo e non vincolante.

La Regione Marche, inoltre, resta contraria ad ogni attività di studio e di ricerca condotta mediante metodi invasivi e pericolosi e sui quali, anche attraverso l’ARPAM, ha facoltà di controllare, al fine di prevenire eventuali modifiche ambientali prodotte anche in relazione a inquinamento e sedimenti.

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